Il patrimonio culturale dell’Italia non è costituito unicamente da splendidi monumenti e opere d’arte apprezzate in tutto il mondo, ma anche dal ricco corredo di narrazioni che il popolo ha tramandato nel corso dei secoli, narrazioni che possono essere di diverse tipologie e che possono essere suddivise in due grandi categorie: favole e leggende.
Delle prime vi sono molte raccolte, antiche o recenti, celebri o meno celebri, e per lo più si ambientano in un mondo del tutto fantastico, privo di riferimenti storici e geografici.
Al contrario le leggende forniscono sempre coordinate riguardo al contesto storico e ambientale cui fanno riferimento e, proprio per questo motivo, è piuttosto semplice risalire attraverso esse a un luogo conosciuto, a un personaggio celebre o anche alla ricostruzione di un fatto narrato in modo diverso dagli storici “ufficiali”.
Le leggende possono avere le più diverse origini e presentano anche una grande varietà di argomenti trattati e stili narrativi: nella maggior parte troveremo l’intenzione e la volontà di rileggere scarni elementi storici in modo da abbellirli e dotarli di significato, poi non mancheranno l’ammonimento morale, le riflessioni sulla malizia, sulla magnanimità e sulla furbizia che risiedono nel cuore degli uomini e, infine, elemento ricorrente è il senso dello stupore e della meraviglia che si provano di fronte ad avvenimenti apparentemente privi di logica e ritenuti soprannaturali. In particolare, caratteristica presente in tutte le leggende è l’affabulazione, ovvero il piacere di raccontare e di ampliare un racconto volando con la fantasia e rendendo la narrazione ancora più allettante per il lettore.
E’ fondamentale tramandare favole, leggende e superstizioni perché solo in questo modo si possono garantire e al tempo stesso rafforzare i nostri usi e costumi; infatti, solo mantenendo salde le proprie radici e rispettando la propria cultura natìa è possibile apprezzare a pieno le tradizioni degli altri popoli.
Noi stessi, quando leggiamo antiche leggende e favole, le rendiamo nostre e le arricchiamo di particolari, esattamente come hanno fatto le generazioni precedenti alla nostra; una tradizione popolare è viva solamente quando si mantiene dinamica, in quanto il suo patrimonio non si cristallizza a si mantiene in continua evoluzione.
In particolare in questa sede presenterò delle leggende, a mio parere molto interessanti, riguardanti tre laghi del nord Italia, tuttora mete di turisti curiosi.
IL LAGO DI LAVARONE1
Centocinquanta anni fa viveva a Lavarone un vecchio con due figli, bravi ragazzi che lavoravano nei campi tutto il giorno e che aiutavano il padre tutte le volte che fosse loro possibile.
Man mano, col passare del tempo, l’anziano si ammalò ma, prima di morire fece testamento e lasciò così ogni cosa ai suoi figli, a patto che tutto fosse diviso in parti uguali; l’unica eccezione era il bosco di faggi che lui possedeva a mezzodì dalla chiesa e che sarebbe stato ereditato dal figlio più meritevole.
I ragazzi rispettarono le direttive espresse nel testamento, dividendo tutto in parti uguali, eccezion fatta per il bosco. Per quanto riguardava quest’ultimo, essi decisero di andare in tribunale e consultare il giudice, il quale non seppe che consiglio dare; tuttavia i due ragazzi ebbero un’idea mentre erano sulla via del ritorno: una volta giunti a casa, avrebbero affilato un coltello per ciascuno e, l’indomani all’alba, sarebbero andati nel bosco a sfidarsi con i coltelli. Il vincitore avrebbe ereditato il bosco di faggi.
Giunti a casa, attuarono per l’appunto il proprio piano: affilarono i coltelli e andarono a dormire. Il giorno successivo si alzarono presto per prepararsi allo scontro, ma, avvicinandosi al luogo, ebbero la sorpresa di trovare un lago là dove prima c’era il bosco oggetto della loro contesa; essi non ebbero, quindi, bisogno di battersi e lasciarono il lago al Comune di Lavarone.
Secondo quando raccontato ancora oggi dalla gente locale, quando i pescatori vanno a pescare, nei vari punti del lago, tirano ancora oggi su alla superficie rami di faggio.
LA LEGGENDA DEL LAGO SANTO2
In molti si chiedono come mai il lago montano dominato dal monte Giovo, sul confine tosco-emiliano, sia detto “santo” e come spiegazione troviamo un’antica leggenda che viene tuttora raccontata dai vecchi montanari delle Tagliole.
Due secoli fa, nei boschi rigogliosi che circondano il Lago Santo, vivevano varie bestie feroci: in mezzo a volpi, faine e tassi apparivano anche dei lupi. D’inverno, quando la neve cadeva fitta, gli animali erano spinti dalla fame fuori delle loro tane e partivano alla ricerca di pecore, agnelli e conigli con cui nutrirsi.
In quell’inverno del 1801 vi era un vecchio lupo, predatore vorace e astuto, che aveva sottratto tante pecore e agnelli ai pastori della zona, nonostante questi avessero posto delle trappole nei passaggi obbligati e lungo i sentieri vicini alle case. Le orme lasciate sulla neve indicavano la venuta del lupo vorace e il suo ritorno nella tana del monte Giovo, mentre il sangue sparso qua e là lasciava intendere che l’animale avesse sacrificato molte vittime per saziarsi.
Una domenica Ulisse decise di comune accordo con Tonio di andare alla caccia del lupo, seguendo le orme da lui lasciate sulla neve; essi non sarebbero tornati a casa fino a quando non avrebbero ucciso l’animale.
Essi arrivarono presso la distesa ghiacciata del lago e lì, nei pressi del monte Giovo, attesero immobili che il lupo uscisse dalla sua tana, che sicuramente era nel bosco lì vicino; il lupo doveva quindi per forza passare innanzi a loro. Tuttavia quella mattina sembrava che l’animale non avesse intenzione di uscire e i due montanari trascorsero ore e ore di attesa finchè ad un tratto si sentì risuonare nel misterioso silenzio di quei luoghi la campana del mezzogiorno, che chiamava alla messa gli abitanti del luogo.
Udendo quel suono, Tonio uscì dal nascondiglio e disse ad Ulisse che sarebbe andato in chiesa, com’era solito fare ogni domenica; Ulisse lo guardò con meraviglia, quasi irridendolo, e rispose al compagno che lui sarebbe rimasto ad aspettare il lupo, per poi ucciderlo, scuoiarlo e riportarne a casa in trionfo la pelle.
Il tempo che Tonio partì per andare in chiesa, ecco che il lupo venne allo scoperto avanzando con cautela, muovendo pigramente il capo e annusando l’aria fredda invernale; Ulisse pronto, prese la mira e sparò. L’eco dello sparo risuonò a lungo nel silenzio della vallata.
Egli finì l’animale con un secondo colpo, sentendosi trionfante e già pregustando il fatto che la gloria sarebbe stata tutta sua, una volta tornato in paese. Nel frattempo si inginocchiò per scuioare il lupo, il cui sangue caldo, uscendo gorgogliando e a fiotti, scorreva a rivoli sulla neve, sciogliendola; nel momento in cui stava portanto a termine l’opera si sentì un rumore improvviso, come quello del vetro che si rompe: ecco che il ghiaccio si aprì, spezzandosi e Ulisse lanciò immediatamente un urlo disperato, vedendosi scomparire velocemente in compagnia del lupo nelle acque gelide del lago. Poi tutto tornò in quiete e silenzio.
Terminata la messa, Tonio fece ritorno da Ulisse ma scorse sul lago una grande chiazza di sangue e sentì poco distante gorgogliare l’acqua. Si mise immediatamente le mani tra i capelli e spalancò gli occhi, aveva capito tutto. Corse immediatamente lungo la strada e raccontò terrorizzato l’accaduto al paese, gli increduli si recarono al lago a vedere l’accaduto e rimasero ammutoliti dall’orrore.
In primavera, scomparsa la neve e scioltosi il ghiaccio, il lago riportò a riva, un giorno, il corpo del lupo, che giaceva inerte tra i sassi: tutto il paese accorse a vederlo. Di Ulisse però nessuna traccia, nemmeno gli altri rigurgiti del lago lo riportarono a riva e non torno mai più alla luce; si pensò che giacesse in fondo alle acque, impigliato negli sterpi.
Tuttavia da quel giorno le acque del lago fino allora quiete, non si sa per quale motivo, si agitarono; a volte traboccavano pericolosamente e scendevano fino a valle a danneggiare le case, gli ovili, i prati, spaventando gli uomini e i greggi.
Il Pievano, dopo aver riflettuto a lungo su questo fenomeno anormale, pensò di benedire le acque e di fissarle per sempre nel loro letto, facendole tornare quiete come un tempo. Il mattino dopo erano tutti in processione verso il lago; lì il Pievano, con volto serio ed imperioso pronunciò gli scongiuri, leggendoli dal vecchio libro unto che aveva portato con sé e asperse con l’acqua santa a lungo, più volte con gesti del braccio, le acque del lago. Una volta terminato il rito tornarono tutti nelle proprie case.
Da quel giorno le acque nè rumoreggiarono e nè strariparono più, rimasero immobili quasi come le montagne che le circondavano. Da quel giorno di benedizione il lago divenne “santo” e per questo motivo è chiamato tuttora Lago Santo.
IL LAGO DI SUBIOLO3
Il Subiolo è un lago con una superficie strettissima, circondato dalle montagne e situato non lontano dalla Valstagna; esso è alimentato dall’acqua che fuoriesce perennemente da sotto le rocce e quando piove si ingrossa notevolmente.
La tradizione narra che, tanto tempo fa, gli abitanti vollero misurare la profondità del lago; essi legarono una all’altra le corde delle cinque campane di Valstagna e, fermando un’estremità al battaglio del campanone, cercarono di raggiungere il fondo, senza riuscire nell’intento.
Sulle rive del laghetto si innalzano montagne rocciose, chiazzate da boschetti di faggi e con qualche ciuffo d’erba sparso qua e là.
Il lago di Sobiolo ha un emissario che confluisce nel Brenta: quando le piogge sono abbondanti, diventa profondo e impetuoso e le acque scorrono sopra grandi massi precipitati dalle montagne, spumeggiando rumorosamente; al contrario, quando il livello del lago si abbassa, lambiscono il muschio che si forma a pelo d’acqua.
Sopra all’emissario vi è un ponte chiamato allo stesso modo Subiolo: quando vi si passa di notte si sentono strida e zuffolii (in dialetto locale subioi) provenire dal lago che da lì non è visibile, poiché nascosto da una sporgenza del monte. Il nome Subiolo pare che derivi proprio da questi insoliti rumori notturni.
La popolazione locale sostiene che il luogo è abitato da fate e da beatrichi e che i subioi dipendono proprio dalla loro presenza. Tra le persone che hanno visto queste fate vi è il falegname Marco Michelini.
Una sera Marco era andato a trovare la fidanzata, stava tornando a casa con passo svelto e doveva attraversare proprio il ponte Subiolo; vi era già stato tante volte ma quella sera la Luna appariva più lucente del solito e le acque del Subiolo erano argentate.
Salito sul ponte, si sentì chiamare ma cercò di convincersi di essersi sbagliato. La voce ripetè nuovamente il suo nome molte altre volte, fino a quando si voltò e vide sulle acque delle fate danzanti che gli facevano segno di avvicinarsi: “Vieni, vieni con noi! Tu non hai mai provato la felicità che ti offriamo! Finchè splende la Luna, vieni a danzare con noi!”. “No, no! Laggiù c’è il lago profondo. Se vengo con voi annego.”
“Hai paura?” chiesero a Marco le fate ridendo. “Guarda, l’acqua è sparita, non c’è più! Vieni”.
L’acqua era scomparsa davvero, si potevano vedere i sassi del fondo luccicare sotto i raggi della Luna; le fate stavano sedute serenamente sul muschio dei massi, all’asciutto.
“No, no” ripeteva il giovane; sebbene fosse come soggiogato, non riusciva a staccarsi dal parapetto del ponte.
“Allora se non vuoi essere felice con noi”, dissero le fate, “ti vogliamo dare una grazia. Così ti ricorderai sempre di noi. Chiedi ciò che vuoi”.
Il giovane falegname, tremando, balbettò: “Vorrei…vorrei che le mie mani fossero capaci di eseguire qualsiasi lavoro d’intaglio”. “Va bene…E così sia!”, gli dissero le fate. “Ma, ricordati, non sarai mai ricco con il tuo lavoro”.
L’acqua riprese poi a uscire impetuosa dal laghetto spumeggiando contro i massi, le fronde dei faggi stormivano, l’ombra della montagna era immobile: la Luna era calata dietro la cima e le fate erano scomparse all’improvviso.
Da quel giorno Marco si trasformò in un abilissimo intagliatore e nella chiesa di Valstagna si possono tuttora ammirare le sue opere.
BIBLIOGRAFIA
Citroni, M.C., Leggende e racconti dell’Emilia Romagna, Newton Compton, Roma, 1983.
Coltro, D., Leggende e racconti popolari de Veneto, Newton Compton, Roma, 1982.
Di Gregorio, A. (a cura di), Leggende italiane, Volume I, RCS Libri, Milano, 2005.
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1 Fonte: I racconti di Luserna (già raccolti da G. Bacher), a cura di Alfonso Bellotto, Vicenza, 1978, pp. 161-65. “Storia” cimbra legata al mondo particolare della “piccola patria” dei Sette Comuni vicentini e di Luserna.
Il lago di Lavarone è un piccolo lago che si trova sull'omonimo altopiano, in provincia di Trento. È uno dei laghi più antichi dell'arco alpino; il suo fondo, infatti, è posto su una dolina a piatto, impermeabilizzata, dovuta ad uno sprofondamento risalente al 210 a.C.
L'alimentazione del lago è garantita da piccole sorgenti superficiali, le acque defluiscono per infiltrazioni sotterranee impiegando circa un'ora e mezza per risalire a 3 Km di distanza, nella valle di Centa, dove formano le cascate del Vallempach. Per il suo clima mite e per la particolare purezza delle sue acque, il lago di Lavarone costituisce per la zona degli altipiani un rilevante elemento di richiamo: è infatti attrezzato per la balneazione e la pesca.
Attorno a questo lago spesso passeggiava Sigmund Freud nel periodo in cui ha trascorso sue vacanze a Lavarone nel 1904, 1906, 1907 e 1923.
Attorno a questo lago spesso passeggiava Sigmund Freud nel periodo in cui ha trascorso sue vacanze a Lavarone nel 1904, 1906, 1907 e 1923.
D'inverno è sede di uno stage per l'apprendimento della tecnica di salvataggio sotto il ghiaccio.
2 Fonte: F. Richeldi, Novelle del monte e racconti dal vero, Modena, 1976, p. 73.
Il Lago Santo modenese è un lago montano che si trova in provincia di Modena. Esso è alimentato da tre immissari: uno scende dalla Boccaia, un altro dalla costiera della Serra e il terzo dal terrazzo della Borra dei Porci; c'è invece un unico emissario posto all'estremità sud nei pressi del Rifugio Vittoria. Il lago ha un'origine mista, glaciale e di frana: circa 150 m sopra la superficie si trova una terrazza pensile, chiamato Borra dei Porci, che rompe l'uniformità della grandiosa parete orientale del Monte Giovo: questa terrazza ha una larghezza di 150 m e una lunghezza di 600 m, è ampia ed erbosa ed è percorsa da un piccolo rio che precipita nelle acque del lago.
3 Fonte: Rivista delle tradizioni popolari italiane a. I, maggio 1984, fasc. VI, p. 434.
Il Laghetto di Ponte Subiolo (chiamato anche dell'Elefante Bianco) si trova in Comune di Valstagna (VI). È una delle grotte più frequentate dai sub e dagli speleosub per la sua facilità di accesso, per le sue vaste dimensioni e per la sua grande suggestione. Nonostante ciò il laghetto ha causato la morte di 8 esploratori dal 1971 ad oggi ed è stato chiuso alle immersioni anche per un breve periodo.
Il lago di Lavarone
Il lago Santo
Il lago di Subiolo
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